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ECO DENIM
"Jeans or not jeans"
Dalla miniera all' ufficio
«Il jeans invecchia integrando in sé il cambiamento dell'età, impregnandosi di avventura, della vita di chi li indossa. Ogni lavaggio è una pagina girata, il tempo vi scrive la sua memoria su uno sfondo sempre più pallido. La decolorazione dovuta al lavaggio traduce l'avvenimento vissuto fino alla saturazione finale.»
Così scrive Daniel Friedman nel suo libro Historie du blue jeans, Paris, 1987.
«Autentico o simulato che sia, resta il fatto piuttosto bizzarro rispetto all'estetica "naturale" del consumo, che per i jeans il nuovo vale meno dell'usato, il consumo aggiunge valore (estetico, affettivo, di prestigio sociale, perfino economico) all'oggetto.» Questo fa notare Ugo Volli nel suo: Jeans, Ed. Lupetti & Co., 1991
Chi non si ritrova in queste parole?
Forse perchè sono passati diversi anni da quando abbiamo indossato i nostri primi jeans nei quali abbiamo vissuto un infinità di ricordi. O magari perchè riutilizzare un materiale così robusto riducendo sprechi ed evitando di riempire uteriormente i bidoni dell'immondizia ci ha stuzzicato la fantasia.
Certo è che da sempre preferiamo recuperare anzichè buttare.
Se uniamo il recupero e la trasformazione di un oggetto antico con il tessuto denim che abbiamo vissuto e amato per tanti anni otteniamo sembre qualcosa di nuovo, di personale, di unico.
Già nel XV secolo Nîmes era in concorrenza con Chieri, in Piemonte, per la produzione di un tipo di fustagno molto robusto di colore blu, allora tinto con il guado (Isathis tinctoria).
Quando il cotone divenne un materiale economico, disponibile in grandi quantità, questo tipo di tessuto divenne materiale d'eccellenza per abiti da lavoro.
Nella lingua inglese la produzione di Nîmes prese il nome denim, mentre nella lingua francese prese il nome blue-jeans, dal termine bleu de Gênes, ovvero blu di Genova, perché tale mercanzia era esportata attraverso il porto di Genova.